L’ottimizzazione dei motori di ricerca (SEO) può essere fatta bene oppure male, in maniera furba e controproducente a lungo andare oppure in maniera etica, lenta ma proficua.
Le tecniche SEO sono tante, così come la loro qualità; per questo vengono suddivise, in gergo tecnico, in tre categorie: tecniche white hat SEO, tecniche gray hat SEO e tecniche black hat SEO.
- White hat SEO: sono quelle tecniche giuste, etiche, mediante le quali il posizionamento sui motori di ricerca avviene in maniera lenta e graduale e senza il tentativo di raggirare gli spider dei motori di ricerca, le tecniche che piacciono a Google.
- Gray hat SEO: sono una via di mezzo, ovvero delle tecniche che non si riesce attualmente ad inserire né nel calderone delle tecniche white hat né in quello delle tecniche black hat. Quindi sono potenzialmente pericolose ma ancora non a rischio ban.
- Black hat SEO: sono tutti quegli stratagemmi che andavano molto in voga fino al decennio scorso, prima che Google rilasciasse degli update con l’obiettivo di scovare e bannare quei siti che le avessero utilizzate. Le tecniche di black hat SEO hanno l’obiettivo di ingannare i motori di ricerca, ma oggi Google è molto abile a scovare le cattive intenzioni, e chi utilizza questi mezzi probabilmente vedrà il proprio sito bannato.
Per questo motivo ogni professionista SEO deve bene conoscere queste tecniche, così da scongiurare il rischio di commettere dei gravi errori sui siti dei propri clienti. E per lo stesso motivo, chiunque abbia intenzione di richiedere il supporto di un SEO specialist, deve accertarsi che il professionista in questione non faccia uso di tecniche poco etiche e pericolose.
Tecniche White Hat SEO
Nei film western il cappello bianco era il simbolo del buono: da qui nasce questa definizione hollywoodiana per indicare le tecniche sane e giuste di posizionamento.
Nel dettaglio le tecniche ben accettate dai motori di ricerca e da Google sono le seguenti:
1. Ricerca di parole chiave
L’obiettivo di una strategia SEO è quello di realizzare contenuti che rispondano alle ricerche che la gente effettua sui motori di ricerca, che siano ovviamente in target con l’argomento del nostro sito web. Esistono dei tool che ci permettono di scoprire quali sono quelle parole chiave (o query di ricerca) che gli utenti digitano sulla casella di ricerca di Google (ad esempio il Keyword Planner di Google Adwords che è gratuito e riporta anche una stima sul volume di ricerca/mese, oppure Ubersuggest che fornisce tutte le keywords correlate alla principale).
Partendo da queste parole chiave possiamo stilare un piano editoriale contenente tutti gli argomenti che riguardano la nostra nicchia e che dovremmo approfondire.
2. Scrivere testi per l’utente e non per Google, che siano di qualità
Dopo aver selezionato le parole chiave pertinenti e utili alla nostra strategia, dobbiamo realizzare i nostri contenuti: se scriviamo testi davvero utili per gli utenti, che siano di valore e di informazione, allora questi piaceranno anche a Google. L’obiettivo deve essere quello di soddisfare il bisogno dell’utente che effettua quella specifica ricerca su Google, e non quello di posizionare l’articolo inserendo quante più parole chiave possibili. Se facciamo bene, il resto verrà da sé.
3. Inclusione naturale di parole chiave in titoli di pagina, intestazioni, testi di ancoraggio, contenuti e tag alt
Le parole chiave che abbiamo selezionato non vanno inserite in maniera forzata all’interno di un testo: il contenuto deve risultare scorrevole, non stucchevole, grammaticamente corretto. Dobbiamo trovare il modo migliore e più naturale possibile di inserire la parola chiave principale all’interno del titolo, di eventuali sottotitoli, del corpo testo e del testo alternativo dell’immagine di copertina (testo ALT). Questo ovviamente non garantirà a un articolo il posizionamento sui motori di ricerca, perché la differenza la farà la qualità del testo, come dicevamo prima.
4. Monitoraggio e adattamento all’analisi
Una buona strategia SEO parte dall’analisi iniziale e prosegue con il monitoraggio costante, per verificare se ciò che stiamo facendo risulta essere efficace o se dobbiamo modificare qualcosa. Il primo strumento utile è sicuramente Google Analytics, che ci permette di monitorare il traffico in entrata, ma anche Google Search Console, tramite il quale possiamo controllare, tra le altre cose, per quali parole chiave il nostro sito riceve più visite. Anche SEO suite quali SEOzoom o SemRush possono rivelarsi utili al monitoring delle nostre attività.
5. Aggiornamento regolare dei contenuti del sito
Parlando degli spider di Google abbiamo visto quanto sia importante aggiornare il sito con costante regolarità: se decidiamo di postare un articolo nuovo a settimana dovremmo attenerci a questo, così da abituare gli spider a ritornare con frequenza sul sito. Un sito che viene aggiornato e che regolarmente presenta contenuti nuovi ha più possibilità di scalare i motori di ricerca.
6. Link naturali: una buona strategia di link building non ammette trucchetti
Google attribuisce autorevolezza a un sito quanto più questo viene citato da altri siti, specialmente se questi trattano lo stesso argomento e se a loro volta sono autorevoli. Per questo, fino a pochi anni fa, i SEO specialist acquistavano link e facevano spam: all’epoca non importava la qualità dei link in entrata bensì la quantità.
Ma ben presto Google, con i suoi aggiornamenti all’algoritmo, iniziò a penalizzare chi aveva tentato di raggirarlo. Per cui oggi il miglior modo per ottenere link in ingresso è creare contenuti di valore così che altri naturalmente ci linkino, oppure realizzare dei guest post su siti altrui o creare delle infografiche di alto valore.
Tecniche Gray Hat SEO
Le tecniche di gray hat SEO sono quelle che non rientrano né nella categoria di white hat SEO né in quella di black hat. O almeno non ancora, in quanto Google non si è mai espresso a proposito. Occorre essere molto cauti nell’utilizzare queste tecniche, e chiedersi sempre se ne vale la pena: è un attimo scivolare nel black hat SEO e quindi incorrere in penalità pesanti dalle quali sarà poi difficile uscire.
Tecniche di gray hat SEO
Queste tattiche includono:
- Link con anchor text fuorvianti: inserire un link che desideriamo spingere con un testo di ancoraggio accattivante ma fuorviante è una tecnica di gray hat, in quanto al momento Google non sappiamo se penalizzi un sito per questo o meno.
- Aggiornamento dei vecchi post con modifica della data: anche se il contenuto è più o meno lo stesso, poiché il codice e il testo cambiano Google ritiene che questo sia un nuovo contenuto. Oggi non è oggetto di penalizzazione, ma domani potrebbe esserlo perché Google potrebbe vederlo come un raggiro dell’algoritmo.
- Copiare contenuti altrui modificando e parafrasando il testo: cambiare alcune parole in modo che i motori di ricerca non possano individuare automaticamente il plagio è una tecnica di gray hat SEO, in quanto oggi ancora Google non riesce a scovare la copia.
C’è da aggiungere infatti che il gray hat SEO cambia periodicamente: quello che oggi è considerato gray hat tra un anno potrebbe essere classificato come Black o White Hat, rendendo cruciale ciò che è stato fatto. Per cui dobbiamo sempre usare la testa e chiederci se le tecniche che stiamo utilizzando sono più da cappello bianco o da cappello nero.
Black Hat SEO
E infine eccoci a specificare cosa non va fatto per tentare un posizionamento veloce, che probabilmente avverrà ma solo per un brevissimo periodo: poi probabilmente il nostro sito sparirà dai motori di ricerca. Le tecniche di black hat SEO sono tutti quegli stratagemmi che i vecchi SEO specialist utilizzavano per massimizzare le possibilità di posizionamento di un sito.
Oggi non vengono – quasi – più utilizzate, ma c’è chi ne fa uso per spingere magari una landing page momentanea. Infatti non appena Google si sarà accorto dell’uso di tali tecniche rimuoverà dai risultati di ricerca il sito, ma se si deve spingere un’offerta che si concluderà in breve tempo, ad esempio, questi metodi di posizionamento rapido possono essere utili.
Ma ne vale la pena? Non sarebbe meglio investire questo tempo e queste energie in AdWords? Infatti non sappiamo se Google, nel tempo, imparerà anche a scovare i furbi che utilizzano questa tecnica, quindi meglio non rischiare.
Quali sono le tecniche più utilizzate di Black Hat SEO
- Cloaking: questa tecnica consiste nel mostrare contenuti diversi a seconda che legga un crawler dei motori di ricerca (ad esempio Googlebot) o un utente reale. Lo scopo è quello di erogare un contenuto ampiamente ottimizzato agli spider, che magari però risulterebbe stucchevole davanti all’intelligenza umana.
- Backlink non di qualità: come dicevamo prima, un link di qualità attribuisce valore al sito che lo riceve, e un link di qualità è un link proveniente da un sito attinente al nostro e a sua volta autorevole. Ecco perché lo scambio o l’acquisto di link in siti non pertinenti è altamente penalizzante, così come farsi inserire in directory a pagamento.
- Keyword Stuffing: ovvero l’abuso di parole chiave, che raggiungono una densità innaturale e controproducente. Infatti non esiste la giusta percentuale per la densità perfetta, e Google privilegia i contenuti di valore e naturali a quelli farciti di keywords.
- Desert scraping: questa tecnica prevede che si prendano contenuti deindicizzati o mai indicizzati da Google e li si utilizzino per il proprio sito.