II e III lezione di #DoLabSMcopy: SEO copywriting e Storytelling

Il blog post di oggi è un concentrato della seconda e della terza lezione del corso di Social media copywriting e brand storytelling, dedicate rispettivamente a SEO copywriting e storytelling.
Keyword o topic?
«Se oggi faccio una ricerca su Google perché desidero comprare un paio di scarpe da tip-tap e domani ne faccio un’altra per trovare una scuola di danza, probabilmente Google mi suggerirà tra i primi risultati una scuola di tip-tap». Questo è l’esempio che ha usato Valentina Falcinelli per spiegare come le keyword non costituiscano più gli unici strumenti per garantire la migliore visibilità sui motori di ricerca, primato che ormai spetta ai topic, cioè gli “argomenti”, di più ampio respiro, che Google ricorda e mette in collegamento gli uni con gli altri.
Un monito prima di tutto: ogni testo sul Web deve essere scritto per le persone, a Google piacerà di conseguenza. Se per assicurarsi l’onnipresenza bisogna abusare di keyword, producendo un articolo ridondante e faticoso, tanto meglio non perdere tempo a scriverlo, perché nessuno lo leggerà! La strategia migliore è piuttosto quella che consiste nel perseguire la ricchezza dei contenuti, e la ricerca di argomenti completi che si richiamino coerentemente l’uno con l’altro.
Scrivere un blog post google-friendly su WordPress
Di norma i topic devono essere presenti negli headline tag, nell’introduzione, nel page title, è bene utilizzare sinonimi e parole correlate e formulare un URL parlante (per essere comprensibili e non duplicabili).
Ma c’è un’altra componente del blog post che deve essere trattata in maniera tale da venire riconosciuta da Google: parliamo ovviamente delle immagini. Per guadagnare maggiore visibilità sui social è imprescindibile impostare un’immagine in evidenza, da caricare e rinominare, che sia delle dimensioni giuste e possibilmente originale. Da non dimenticare il Tag alt, breve, chiaro e descrittivo, che rende un’immagine immediatamente identificabile anche a chi utilizza software di screen reading per non vedenti.
Storytelling e soft marketing
Nella lezione di martedì abbiamo lasciato Google e SEO da parte per concentrarci sugli aspetti narrativi dello storytelling. Come anticipato nella prima lezione, raccontare una storia finalizzata a pubblicizzare un prodotto significa innanzituzzo emozionare e coinvolgere. Ma ci sono molti modi per farlo. In pubblicità sono stati classificati 12 archetipi di storytelling, modelli narrativi adattabili alle esigenze di qualunque marchio.
I brand che vogliono dare di loro un’immagine di sicurezza e stabilità, si affideranno all’archetipo del sovrano, quelli che intendono suggerire la fiducia in un cambiamento possibile opteranno per l’archetipo del motivatore che viene impiegato specialmente in campo politico. Il guru esprime consapevolezza, il guerriero indipendenza, l’artista creatività: è questo il caso di un brand come Lego, che per sviscerare il concetto di art making si è inventata l’improbabile caso del Kronkywongi. Mentre l’esploratore richiama un target di avventurieri disposti a uscire dai rassicuranti confini della propria confort zone (Quechua ne è un esempio), l’archetipo dell’idealista si rifà alla sfera dell’infanzia e dell’innocenza, e l’altruista richiama l’attenzione su questioni umanitarie per cui è richiesto l’impegno di tutti (le organizzazioni no profit fanno spesso questa scelta). L’archetipo dell’uomo qualunque è l’ideale per l’azienda che vuole comunicare semplicità o piacere alla portata di tutti (McDonald’s); il seduttore perlustra la sfera della bellezza e si rivolge al campo dei cosmetici o della moda, mentre un brand che preferisce non prendersi troppo sul serio propenderà per l’archetipo del buontempone. Emblematico è il caso di Marmite, produttore inglese di una crema spalmabile che non ammette mezzi termini e che punta la sua campagna sulla modalità: “o lo ami o lo odi”. Chi può permettersi invece la rottura (anche violenta) con gli schemi sono brand come Harley Davidson o Pampero, che sceglieranno l’archetipo del ribelle, fino a raggiungere risultati anche estremi.
Il risultato ideale è quello che si ottiene riadattando un archetipo che sembra discostarsi dalla tipologia del brand per ottenere l’effetto disruptive che, nonostante i rischi, garantisce il massimo dell’originalità.
Smontate Obama! Smontate Martin Luther King!
Che si tratti di un copy o di un video, non è impossibilie risalire all’archetipo tramite la scomposizione e l’analisi. Certo, ci vogliono attenzione e allenamento per smontare i discorsi del presidente degli Stati Uniti o di uno degli attivisti più comunicativi della storia, ma i modelli, benché non-definitivi, sono utili per orientarsi.
Valentina Falcinelli ha dato ai suoi corsisti un altro suggerimento: devono immaginare che la struttura di uno spot corrisponda a quella di una canzone pop. L’intro, la strofa, il ritornello, il ponte, lo special, il finale. Ai corsisti l’arduo compito, ma loro sono propositivi.«YES WE CAN».
Sara Zucchini