Dietro le quinte della strategia Ceres! Intervista al team di BCube

Abbiamo fatto una chiacchierata su Hangout con Andrea Stanich, insieme ad Arturo Dodaro direttore creativo dell’agenzia BCube, per analizzare uno dei brand più seguiti e amati su Facebook: Ceres. Il brand è tornato a far parlare di sé partecipando al Gay Pride e, in questi giorni, annunciando l’apertura del canale Twitter con il consueto approccio disruptive. Riuscirá ad avere lo stesso ritorno di engagement anche sul social dei cinguettii?
Aspettando di scoprirlo vi portiamo nel dietro le quinte delle strategie social del brand!
 
Ciao Andrea: partiamo dai fondamentali. Chi è il brand Ceres? In cosa si identifica?
 
Ceres, famosa per le sue campagne unconventional, è un cliente BCube da 4 anni. È un brand che parla ai ragazzi fin dagli anni ’90, ma aveva ereditato da quegli anni un immagine un po’ troppo ribelle, quasi nichilista. Il percorso che abbiamo iniziato 4 anni fa aveva l’obiettivo di rendere la marca più contemporanea.
Il nuovo posizionamento è stato un processo e un lavoro evolutivo, graduale, un trasferimento di valori da una “marginalità fine a se stessa” fino ad un “eroismo senza gloria”: come quei personaggi delle serie tv che violano costantemente le regole ma glielo perdoni perché hanno un’etica coerente e finalità giuste, condivisibili.
Quest’anno Ceres vuole posizionarsi sulla “strada”: l’anima street, figlia del suo passato underground, è il grande territorio Ceres.
Per farlo, Ceres sui social usa l’autenticità come punto di forza.  Cercando in qualche modo di comunicare lo spirito del tempo con i modi, il parlare, gli atteggiamenti reali dei ragazzi. La battuta, il tono irriverente, il commento ai fatti di attualità, è propria dei discorsi di tutti i giorni. Il punto di forza è la chiara consapevolezza della personalità del brand. Lo scrittore, per esempio, deve conoscere bene i suoi personaggi, una volta definiti quando li posiziona in diversi contesti, sa perfettamente come si dovranno comportare e cosa dovranno dire.
Così è per  Ceres: il team conosce così bene la personalità del marchio che viene naturale sapere cosa dire e come dirlo, anche e soprattutto in real time.
C’è un profonda sicurezza nel sapere come risponderà la community, quindi? Chi vi segue è sempre d’accordo con il vostro approccio o siete voi che vi adattate alla community?
Certo la sicurezza c’è, ma a volte c’è anche un po’ di sana avventatezza! Per il caso Soft Ale abbiamo lasciato un minisito totalmente aperto e privo di moderazione, e la community ha fatto il resto, ognuno dicendo la sua. Il rischio era alto, ma è andata comunque bene ed esattamente come avevamo previsto. Siamo sempre molto netti e autentici nelle nostre prese di posizione, ma i commenti su Facebook sono positivi nel 90% dei casi, e il sentiment generale è alto. Ciò vuol dire che la community si è evoluta con il tempo, è cresciuta con Ceres. Per strada si è perso qualcuno, ma abbiamo conquistato la fedeltà di nuovi. Questo fa del mondo Ceres una community solida, molto targettizzata e fedelissima al brand.
 
Parliamo della case Soft Ale. Con quali obiettivi è stata pensata l’operazione?
 
Campagna Ceres Soft Ale
 
L’operazione serviva a riaffermare l’identità del brand e a ricompattare la community intorno ai nostri valori; ma anche ad allargare il target alle nuove generazioni e a tutte quelle persone che non facevano già parte della cerchia di affezionati legati alla natura strong del brand e della birra. Anche grazie a operazioni come questa, il target di Ceres oggi è composito e sfaccettato, c’è uno zoccolo duro di aficionados; ci sono giovani, le nuove generazioni, aperti alle novità. E c’è una fetta di target collaterale: persone appassionate, che lavorano nel mondo della comunicazione.
Soft Ale è dunque servita come operazione di rottura, una campagna che usa la non autenticità per riaffermare l’autenticità del brand: sottolineando ciò che non è Ceres, ravviva tra i consumatori il senso di appartenenza.
 
Abbiamo notato che le vostre campagne sono sempre più legate a tematiche e fatti sociali: Expo, elezioni politiche, Barcaccia di Roma, assoluzione di Berlusconi solo alcune hanno fatto scuola. Come è nata la campagna “Senza etichette” legata alla sponsorhip del gay pride di Roma?

Per quanto riguarda il Gay Pride la squadra social fin da subito ha pensato ad una bottiglietta con un’etichetta personalizzata con un messaggio unico per la manifestazione, ma poi ci siamo resi conto che il messaggio più giusto era appunto l’assenza di qualsiasi etichetta. Ed è così che è stata realizzata un’edizione limitata della bottiglia come presa di posizione contro ogni tipo di pregiudizio.
 
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Come nasce il processo creativo di una campagna e come viene approvato dal cliente? Quanto c’è di real time marketing e quanto di premeditato nelle vostre strategie?
Non sarebbe facile lavorare per questo brand se non avessimo un cliente che ci da’ fiducia e un team molto affiatato. Ciascuno di noi ha le sue skill ma conosce e rispetta le competenze degli altri. Questo permette di lavorare rapidamente e in completa sinergia.
Colgo l’occasione per fare i nomi: oltre a me e ad Arturo, su Ceres lavorano Alessandro Sciarpelletti Head of Digital, Silvia Savoia Copy e Content Manager, Federica Nanni Social Media Strategist, Federico Bianchini Art Director, Elisa Fiorentini, giovanissima, che fa un po’ di tutto, e ha la risposta pronta con i fan. E da qualche giorno, proprio per Twitter è con noi anche Federica Brignani, blogger affermata oltre che cantante punk.
Per quanto riguarda i temi da trattare nell’instant, ci teniamo informati su quello che succede nel mondo, e ci viene naturale pensare a cosa direbbe il brand.
Individuato l’evento di attualità sul quale ci interessa intervenire, ci riuniamo e buttiamo giù un po’ di proposte, poi insieme al cliente ne scegliamo una, quella che interpreta meglio lo spirito Ceres. Solitamente tutto  avviene piuttosto velocemente, nel giro di una mattinata. Anche se su cose piu’ elaborate come l’iniziativa Expo, online e offline, dobbiamo organizzarci 4-5 giorni in anticipo. C’è molta improvvisazione, insomma, ma tutta all’interno di una piattaforma strategica seria, pianificata nel tempo e puntigliosamente.
Il successo di Ceres sui social è anche frutto di un rapporto che è stato costruito con la fanbase, di questo siamo davvero orgogliosi. Quando costruisci una relazione con i fan e generi molte conversazioni, quella è la vera vittoria.
 
Quanto c’è di programmato nell’iniziativa di portare le birre agli operai Expo il primo maggio? Le posizioni che prende Ceres corrispondono a una volontà di schierarsi politicamente? Come scegliete i temi di cui parlare?
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Con Ceres abbiamo in qualche modo rotto il tabù del brand che non può parlare di politica.
Ma l’idea di partigianeria politica in Italia è morta. Soprattutto considerato il target a cui ci rivolgiamo. Le posizioni prese sono posizioni di “buon senso”, cose di tutti i giorni che è normale sentire in tv o sui social. Soltanto, dette un po’ meglio. Abbiamo parlato dell’Expo perché semplicemente sembrava davvero assurdo a tutti che ad un mese dall’apertura non avessero ancora chiuso i cantieri. L’idea di portare la birra agli operai faceva parte da subito dell’operazione, quello che non ci aspettavamo era che l’evento Facebook “Portiamo una birra a questi ragazzi” raccogliesse così tante adesioni: 1300 in un’ora. Questo succede quando il brand supera il limite del social network, che è fatto di pixel, ed entra con lo stesso atteggiamento nel mondo reale.
 
Quanto credi che la comunicazione con la community di un brand possa influire sulle vendite?
Il ruolo di BCube come agenzia di comunicazione, è prendersi cura del brand. Un brand forte e sano lavora meglio anche sul mercato. Non credo che aprire una pagina Facebook e gestirne la community sia direttamente finalizzato alle vendite. Però se la si gestisce bene, il passo alla vendita può essere facilitato. Per esempio, molti dei nostri fan a volte ci scrivono commenti come: “Siete dei grandi! stasera mi compro una Ceres!”. Se vai al bar e non sai che prendere, ma la mattina Ceres ti ha fatto sorridere, c’è una buona probabilità che la tua simpatia per il marchio agisca sul tuo processo decisionale al momento dell’acquisto.
 
Non avete paura di poter sbagliare, dell’ “epic fail”, rischiando così tanto?
Siamo molto, molto attenti. Improvvisiamo spesso, ma è un’improvvisazione che sta dentro a un sistema di regole chiare e condivise. E poi, lo dico con un sorriso, in Italia ci si dimentica presto delle cose. Guarda il caso Moncler. Moncler è tuttora uno dei brand di moda più in crescita, nonostante lo scandalo di qualche tempo fa generato da un servizio di Report. Non credo che un singolo evento di comunicazione, fantastico o catastrofico, possa influire in modo definitivo sulla scelta o sulla percezione di un brand. Una delle cose di cui siamo più fieri è che i “win” di Ceres non sono casi isolati, ma un percorso vincente. Allora sì che l’immagine del brand cambia.
 
Che ne pensi di  quello che ha detto Umberto Eco qualche giorno fa? Il web è popolato di imbecilli?
Il web è lo specchio del mondo. Se dici che il web è popolato da imbecilli stai dicendo che anche il mondo lo è.
A mio avviso il modo in cui si comportano le persone dipende molto dal tipo di ambiente e di atmosfera –digitale o meno- che crei. Come comunicatore non mi interessa valutare l’imbecillità o meno delle persone, mi interessa di piu’ stabilire quale contributo possano dare alla costruzione della marca.
Il web ha dato a tutti il diritto di esprimersi apertamente e di avere un proprio seguito.
Per un certo periodo, questo ci ha fatto credere di poter totalmente delegare la creazione di contenuti al pubblico, e oggi agli influencer. “Raccontaci la tua storia” è diventato il nuovo “corri in edicola”. Poi si è scoperto che le persone comuni non è che morissero dalla voglia di “mandare la loro foto”, “raccontare la loro storia”, o “condividere la loro opinione” con un brand di automobili, di prosciutti o di moda.
Non credo a questo tipo di content strategy. Credo invece nella costruzione paziente di una relazione fatta di dialogo e scambio. Una relazione che con il tempo, porta a un processo di co- creazione del brand. Allora sì che te la racconto, la mia storia. Questa è la grande vittoria di Ceres, per noi. Non tanto i like, quanto la costruzione di una relazione forte e quotidiana.
 
Grazie Andrea, a te e a tutto il team BCube!
Sicuramente continueremo a portare i vostri successi come case study nei nostri corsi.
E come probabilmente direbbe la Ceres: stay strong!